Economia

Questioni di bilancio e di equità di Alessandro Petretto

La discussione un po’ sguaiata sulla questione delle multe che affluiscono copiose nelle casse del comune di Firenze, non pone in luce il vero problema che interessa il nostro bilancio pubblico, come quello di altre città di medie e grandi dimensioni: la percentuale troppo limitata di tributi che applicano il principio, sancito dalla Costituzione, della capacità contributiva per il finanziamento dei servizi pubblici generali.

Se prendiamo, dal Consuntivo 2021, le principali dieci voci di entrata accertata vediamo come solo il 27% del totale (IMU 162 milioni e addizionale all’Irpef 9 milioni) è legato a questo principio. Il 29% è associato al principio del beneficio e della controprestazione, che fa discendere la ratio dell’entrata al corrispettivo di un servizio diretto a domanda individuale (Tari 105 milioni, vendita e gestione di beni 88 milioni); il 13% sono entrate legate al principio dell’attribuzione del costo sociale, cioè le esternalità negative a chi le ha provocate, vale a dire, con un’interpretazione un po’ drastica, l’uso della città da parte dei turisti e la incidentalità stradale (Imposta di soggiorno 16,4 milioni e multe 71 milioni). Rimangono i trasferimenti correnti statali di tipo perequativo, 60 milioni, e 147 milioni per i ristori per gli effetti della pandemia. Questo 31% di entrate derivate provano come la pandemia abbia ristrutturato i bilanci comunali, regredendo rispetto alla logica di autonomia fiscale prevalente nella riforma del Titolo V e nella L.D. 49/2009 di applicazione.

Nel bilancio preventivo 2022-2024, si assiste alla riduzione nel tempo dei trasferimenti per i ristori (ma non l’azzeramento), compensata da un aumento dell’imposta di soggiorno, dei proventi delle vendite dei servizi alla persona e delle multe. La quota di IMU e addizionale all’Irpef, cioè i tributi legati alla capacità contributiva, diminuisce in quanto viene sostanzialmente stabilizzata l’entrata prevista dei due tributi. Questo non dipende solo da un’opzione politica di contenimento di questi due tributi ma anche dell’insufficienza degli stessi.

Per quanto riguarda l’addizionale, la Legge Delega sulla riforma fiscale, ancora ferma in Parlamento, prevede che la facoltà di applicare un’addizionale all’Irpef sia sostituita con la facoltà di applicare una sovraimposta sull’Irpef, i cui limiti di manovrabilità devono essere determinati in modo da garantire ai comuni nel loro complesso un gettito corrispondente a quello generato dall’applicazione dell’aliquota media dell’attuale addizionale. Non è dato sapere però quale sarà la manovrabilità concessa per comune. Quanto all’IMU, in primo luogo, occorrerebbe, come d’altra parte esplicitamente richiamato dalla Legge Delega, ripensare il trattamento della Cat. D (per gli immobili ad uso produttivo, i capannoni industriali). A nostro avviso andrebbe riportato interamente il gettito ai comuni, con ampia possibilità di differenziazione dell’aliquota base. Le motivazioni per l’attribuzione allo Stato della Cat. D sono infatti venute meno. In secondo luogo, sarebbe opportuno allargare la manovrabilità verso l’alto dell’aliquota massima dell’IMU. Occorre infatti precisare che a livello locale il controllo sulla pressione fiscale versus quali-quantità dei servizi si ottiene con la responsabilizzazione finanziaria, più che ponendo vincoli sull’autonomia tributaria.

“In conclusione il sistema fiscale locale dovrebbe tornare, dopo le crisi recessive, a fondarsi su tributi veri, collegati a basi imponibili stabili e non episodiche. Questo richiede un potenziamento dei tributi immobiliari e sul reddito e delle relative entrate. È una questione di equità oltre che di tenuta del bilancio”.

Pubblicato originariamente su “Il Corriere fiorentino”, 18 ottobre 2022