Economia

La droga delle clausole di salvaguardia di Alessandro Petretto

La manovra annunciata da governo Meloni contiene, come sottolineato da diversi commentatori, molti azzardi. Uno di questi riproduce un vizio radicato nelle abitudini di governo della finanza pubblica nel nostro paese, un misto di illusione finanziaria, furbizia e creatività tipo Napoli milionaria di Edoardo. Si tratta del ricorso alla tecnica delle così dette “clausole di salvaguardia”.

Le clausole di salvaguardia nella versione originaria sono norme che prevedono maggiori entrate o minori uscite per lo stato che entrano in vigore se, entro una determinata scadenza, non si reperiscono le risorse necessarie con altre misure. In altre parole, scattano automaticamente aumenti delle imposte. Lo strumento era stato inizialmente pensato per dare all’esecutivo il tempo sufficiente a reperire le risorse necessarie a coprire spese già effettuate o previste, tranquillizzando al contempo le istituzioni europee e i mercati. La riforma della legge di bilancio del 2016  ha eliminato la possibilità di ricorrere alle clausole di salvaguardia, ma la norma è stata puntualmente disattesa dai successivi governi.

Il governo Berlusconi IV è stato il primo ad utilizzare lo strumento delle clausole di salvaguardia (Dl 98/2011), la norma garantiva sulla carta entrate per 20 miliardi di euro. Successivamente, con tre diversi provvedimenti, il governo Monti ha trovato parte delle risorse necessarie per evitare lo scatto delle clausole.

Nel 2013, sotto il governo Letta, si è attivata una delle clausole di salvaguardia che ha portato a un aumento dell’IVA dal 21 al 22%. Tutti i successivi governi sono riusciti, di anno in anno, a evitare lo scatto delle clausole, riproponendo sistematicamente  aumenti di entrata alternativi e più nascosti dell’IVA, e mai riduzioni di spesa. Con l’avvento della pandemia e il successivo allentamento delle norme europee di disciplina fiscale, i mancati aumenti di IVA sono divenuti indebitamento netto e quindi accumulo dello stock di debito. Si tratta come si può ben capire di un trucco che ha sempre irritato la Commissione Europea che ha chiesto a più riprese di non ricorrere a questa forma di maquillage dei conti.

L’dea sottostante le clausole di finti aumenti di imposte vale anche a contrario per finte riduzioni di imposte. Quando il governo fissa una riduzione di imposta che vale solo per il 2024 è consapevole che per il 2025 e 2026 o si ritorna alle entrate precedenti il bluff o si trovano le risorse necessarie, o si aumenta il debito.

Molte delle misure annunciate dall’attuale governo per la Legge di Bilancio 2024-2026 (in particolare la riduzione del cuneo fiscale, il taglio dell’Irpef e le politiche per l’industria) sono finanziate solo per il 2024, ma in realtà sarà molto difficile non prorogarle per gli anni seguenti; gli attuali beneficiati non mettono assolutamente in conto una marcia indietro.

La riduzione del cuneo fiscale (o, più precisamente, la conferma dei tagli già effettuati negli ultimi due anni) vale 10,5 miliardi di euro, le misure annunciate per il sostegno alle imprese valgono 2,3 miliardi, il taglio dell’Irpef circa 4 miliardi. In tutto oltre 16 miliardi di minori imposte e contributi. Nel tendenziale del 2025 e 2026 queste minori entrate sono scorporate come se gli sgravi concessi non fossero più ribaditi (salvaguardia a contrario), ma come detto dovranno essere riproposte, trovando nel programmatico altre risorse, ipotecando una parte della manovra di bilancio, o aumentando il deficit e il debito. Quindi o si imbufaliscono i contribuenti, ai quali con una seconda mano si toglie quanto dato con la prima, o si va ad una sanzione della Commissione per deficit eccessivo, perché dal 2024 la disciplina fiscale tornerà funzionante. Le riduzioni di spesa e le privatizzazioni non sono nelle corde di questo governo, malgrado i proclami di Giorgetti, né la crescita del PIL sosterrà in modo automatico le entrate sufficienti.

 Ma perché il governo si imbarca in questa scommessa rischiosa? La risposta sta nel fatto che si vota a giugno 2024, potendo sbandierare la riduzione del cuneo, gli sgravi alle imprese e il taglio dell’Irpef… quindi tutto è più chiaro, speriamo anche per i cittadini/elettori.