Democrazia

ELEZIONI QUIRINALE/ E il nodo-Draghi: come risolvere ciò che la Costituzione non prevede di Elisabetta Catelani

Il sussidiario – 24 Gennaio 2022

L’eventuale elezione di Draghi al Quirinale pone alcuni profili di tipo procedurale, connessi a conseguenze e scelte politiche precise

In questi giorni giornali e talk show si occupano quasi esclusivamente del tema dell’elezione del presidente della Repubblica. Il dibattito fra i partiti sta bloccando ogni iniziativa governativa dalla fine di dicembre, tanto che in questo mese il governo sembra limitare la sua attività alla cosiddetta ordinaria amministrazione.

C’è da augurarsi, quindi, che la scelta del Presidente della Repubblica sia veloce, condivisa e si diriga verso persona di alto profilo, come molti auspicano. E una personalità stimata ed apprezzata a livello nazionale ed internazionale da tutti è sicuramente il presidente Draghi.

La sua eventuale elezione pone alcuni profili di carattere procedurale, connessi a conseguenze anche politiche, che meritano qualche osservazione.

Non è mai successo prima, nella storia italiana, di un presidente del Consiglio eletto presidente della Repubblica, ma la Costituzione stabilisce in modo chiarissimo l’incompatibilità del ruolo di Capo dello Stato con qualsiasi altra carica (art. 84, comma 2 Cost.) e quindi Draghi dovrebbe immediatamente dimettersi, prima del giuramento a presidente della Repubblica.

Dimissioni che aprirebbero due problemi da risolvere: chi sarà il nuovo presidente del Consiglio e chi nelle more di tale nomina dovrà sostituirlo in quel periodo intermedio, immediatamente dopo le sue dimissioni e prima della scelta del nuovo governo, perché, in base al principio di continuità degli organi costituzionali, vi deve essere sempre un soggetto che svolga quel ruolo.

Il problema dell’immediata sostituzione può apparire semplice da risolvere, visto che la legge n. 400 del 1988, che disciplina i poteri e gli organi del governo, all’art. 8, c. 2 stabilisce che, quando non vi sia un vicepresidente del Consiglio, come nell’attuale governo Draghi, la supplenza spetti al ministro più anziano secondo l’età e quindi nel caso di specie al ministro Brunetta. La norma precisa però che tale criterio si applichi “in assenza di diversa disposizione da parte del Presidente del Consiglio”, lasciando quindi un margine di discrezionalità di indicare un soggetto diverso.

Occorre premettere che stiamo parlando di un’indicazione che potrebbe avere effetti sia molto ridotti nel tempo, qualora fosse già individuato un nuovo governo nel momento in cui i partiti si accordano sul nome di Draghi a presidente della Repubblica, ma potrebbe anche condurre ad una lunga crisi di governo qualora poi, in fase di ultime trattative, i partiti individuassero motivi per non confermare l’accordo, spingendo così verso elezioni anticipate o comunque qualora un accordo preventivo non vi fosse proprio, ipotesi in realtà difficile da realizzarsi in questo caso.

La diversa indicazione rispetto all’anzianità, ipotizzata nella legge n. 400/88, non può comunque essere lasciata alla mera discrezionalità del presidente, ma deve tener conto del ruolo del presidente del Consiglio in Costituzione, proprio perché si tratta di una legge che ha come finalità l’attuazione delle norme costituzionali sul governo (art. 95 Cost.) e deve essere interpretata alla luce di quelle. Da qui la necessità di una decisione collegiale all’interno del Consiglio dei ministri e quindi dello stesso ministro più anziano.

Si potrebbe tuttavia ipotizzare anche un indirizzo concordato con la maggioranza parlamentare al fine di pre-indicare, scegliendo fra i membri dell’attuale governo, il futuro presidente del Consiglio, trasformando la supplenza in una specie di pre-incarico. In questo caso Draghi, nel momento in cui si dovesse togliere il “cappello” di presidente del Consiglio, contemporaneamente e, forse, ancor prima della sua futura elezione, dovrebbe calzare quello di presidente della Repubblica, con una specie di attività di verifica della volontà della maggioranza. Quindi con una commistione di ruoli sicuramente inedita per il nostro ordinamento, che metterebbe a rischio il principio della separazione dei poteri.

Si è anche ipotizzata una nomina di un vicepresidente nella fase immediatamente precedente alla convocazione delle Camere per l’elezione del presidente della Repubblica, come un segnale dello stesso Draghi ai partiti, al fine di indicare un esponente della maggioranza governativa in grado poi di proseguire alla guida di un governo di legislatura. Si tratterebbe, in altre parole, di applicare l’art. 8 comma 1, che appunto prevede la figura del vicepresidente, non al momento di formazione del governo, non al momento di un rimpasto, ma in una fase così delicata come appunto quella del passaggio delle consegne. Questa soluzione non pare invece percorribile, perché non risponde ai presupposti dell’art. 94 e 95 Cost., che appunto prevede un rapporto di fiducia con le Camere di tutti i componenti del governo, compreso il vicepresidente. Il fatto di attribuire ad un ministro anche il ruolo di vice potrebbe anche essere riconosciuto, ma non senza un accordo con il Parlamento e forse con un voto delle Camere, perché la fiducia originariamente data a quei ministri non si riferisce alla persona, ma al ruolo ad esso affidato nel governo.

Altra ed ultima precisazione: si è fatto notare che l’art. 8 fa riferimento alle ipotesi di “assenza o impedimento temporaneo”, ma non a quello di dimissioni dello stesso presidente del Consiglio, che non potrebbe certo essere qualificato impedimento temporaneo, visto che ha effetto per 7 anni, e quindi, con riguardo al governo, sarebbe un impedimento permanente. Ciò dovrebbe determinare, come effetto, l’inapplicabilità dell’art. 8 e tutto dovrebbe essere lasciato alla discrezionalità del presidente del Consiglio. In realtà, molte delle norme della legge n. 400/88 ed in questo caso l’art. 8, costituiscono l’esplicitazione di principi già presenti in Costituzione e, salvo piccoli rimpasti, che non alterano l’assetto governativo, ogni nomina rilevante, come quella del possibile supplente del presidente del Consiglio, richiede il consenso delle Camere.

In definitiva, non pare che ci siano ormai né i tempi, né l’opportunità per la nomina di un vicepresidente e sarebbe opportuno applicare in modo restrittivo l’art. 8 con la supplenza del ministro più anziano d’età. Una scelta diversa da parte di Draghi dovrebbe essere espressione di un accordo non solo con la maggioranza uscente, ma anche con la possibile maggioranza di un nuovo governo che si potrebbe formare dopo l’elezione di Draghi a presidente della Repubblica. Una commistione di ruoli che sarebbe da evitare.