Ucraina

C’è chi confonde aggrediti e aggressori di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Mentre in Italia si discute di riforma del catasto e la maggioranza si spacca e il Governo quasi rischia l’implosione per un voto di commissione, la guerra della Russia all’Ucraina prosegue. Proseguono le falsità di Vladimir Putin, che continua a descrivere ai russi l’invasione come una operazione militare speciale. Tra le risposte occidentali ci sono le sanzioni. L’aggiunta di alcuni oligarchi a liste di persone non gradite, il blocco del sistema di comunicazione internazionale Swift per alcune selezionate banche russe, le risoluzioni che prevedono l’invio di armi in Ucraina. Come quelle votate anche in Italia in Parlamento. Un voto trasversale, allargato anche all’opposizione di Fratelli d’Italia. C’è chi non è convinto, come la Cgil, che sabato scorso ha organizzato una manifestazione “per la pace” – alla quale non ha preso parte la Cisl – in cui, anziché schierarsi apertamente contro l’invasore, sono stati lanciati appelli al pacifismo assoluto (a scapito della libertà di autodeterminazione). Sembra esserci un problema di lettura della realtà. Una parte dell’opinione pubblica progressista è dunque convinta che l’articolo 11 della Costituzione italiana sia stato scritto da Gandhi e non da sopravvissuti a una guerra mondiale, pronti a scrivere – come scrivono – che sì, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” ma “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Il pacifismo costituzionale confonde aggredito e aggressore, nonché le idee. Aver contribuito all’invio di armi – letali o non letali sono aggettivi che non servono: sono armi – all’Ucraina non fa di noi un Paese belligerante, bensì un Paese che aiuta un altro a contenere una aggressione. C’è una enorme differenza. Le armi che abbiamo inviato in Ucraina servono alla popolazione per difendersi. È questo il senso delle risoluzioni votate dal Parlamento. È questo il senso del nostro impegno. Almeno finora.

Non è infatti chiaro fin dove si spingerà la Russia. O, meglio, fin dove voglia spingersi l’autocrate Vladimir Putin, che minaccia l’Occidente spiegando che ci saranno rappresaglie per quei Paesi che stanno emettendo sanzioni contro la Russia. Paesi che stanno pagando e pagheranno il costo della crisi energetica. L’Italia rischia molto, acquistando ben oltre il 40 per cento del suo gas dalla Russia. “Siamo ad una svolta storica che richiede senso di responsabilità, ma anche fermezza, pagando i prezzi che ci saranno da pagare non solo con le sanzioni”, osserva l’Istituzione di studi Firenze per l’Europa (Isfe) presieduta da Zeffiro Ciuffoletti: “Il presidente Vladimir Putin con i suoi apparati tenterà di dividere il fronte occidentale con ogni mezzo, perché la guerra di oggi è anche e più di sempre guerra di comunicazione e di tenuta dei ‘fronti interni’”. Gli appelli alla pace che nascono dalla paura “hanno una seria giustificazione con un personaggio come Putin, che può incarcerare migliaia di oppositori al giorno. E che può agire sulle nostre imprevidenze e sull’assenza in Italia come in Europa di una autonomia energetica e di una forza di sicurezza e di difesa pur nell’ambito della Nato. Così dietro al pacifismo più sincero si possono annidare anche le visioni ostili alla Nato, agli Usa e alla Ue. La salvaguardia della pace continentale impone all’Unione europea una svolta culturale e strategica: una politica di difesa e sicurezza collettiva a supporto di una politica estera che non può essere affidata ad altri che a noi stessi”.

Una esigenza che si intravede nella cornice dello Strategic Compact che si dovrebbe varare al vertice Ue di questo mese, aggiunge l’Isfe: “Una espressione di autonomia che comporta investimenti massicci su spazio, energia e semiconduttori, settori indispensabili per le nostre esigenze strategiche”. Tra le esigenze strategiche c’è, come comunità europea, la necessità di dotarsi duna difesa comune. “Questo tema – spiega il costituzionalista e deputato Pd Stefano Ceccanti – è stato posto fin dall’inizio, alla creazione delle istituzioni europee. In particolare furono due italiani, Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli, che volevano avere, in questo sistema di unità per funzioni, una comunità europea di difesa. In sostanza un esercito comune. Vari  parlamenti, tra cui il nostro lo approvarono e purtroppo si arenò in un voto dell’assemblea nazionale francese, sotto il governo Mendès France che pure era favorevole, perché la Francia in quel momento – nel 1954 – aveva il problema della decolonizzazione. Aveva perso la guerra di Indocina. Il Governo era focalizzato su Cina e Indocina e a fare un trattato di pace sull’Indocina. Ci fu una sconfitta parlamentare, il Governo non si dimise perché doveva reggere la partita più difficile e quindi da lì ci fu la mancanza di un pilastro comune”. L’esercito comune europeo appunto. Ce ne sarà bisogno anche dopo la fine di questa storia. Che non è la fine della storia, come aveva invece profetizzato Francis Fukuyama. (Public Policy) 

@davidallegranti

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