NOTIZIARIO EU – ISFE n°4

28 febbraio 2022

Una sentenza sul futuro dell’Unione

La sentenza con cui la Corte di giustizia europea ha respinto i ricorsi di Polonia e Ungheria sull’introduzione del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per l’erogazione dei fondi europei non fa che aumentare i problemi della Ue sul fronte orientale, dove è in corso un confronto strategico drammatico sulla questione ucraina.

Per Varsavia e Budapest si tratta anche di un problema economico, oltre che politico. Infatti i due paesi si sono visti sospendere i fondi del Recovery Fund: 36 miliardi di euro per la Polonia e 7,2 miliardi per l’Ungheria.

La sentenza è stata trasmessa per la prima volta in diretta streaming. La giustizia spettacolo non porta bene, almeno guardando al caso italiano.

Per Varsavia il nodo principale resta quello dell’indipendenza dei giudici in quanto la composizione dei giudici del Tribunale costituzionale sarebbe “scelta” dall’esecutivo. Poi in seno alla Corte suprema si è creato un organo di controllo con il compito di valutare ed eventualmente sanzionare i giudici, il cui operato venga considerato non idoneo.

La Commissione europea si è appellata all’articolo 7 del Trattato di Lisbona, mai utilizzato sinora. Così la Polonia perderebbe il diritto di voto al Consiglio europeo. Per questo, però, occorrerebbe l’unanimità di tutti i membri dell’Unione. Viktor Orbán, premier ungherese, ha posto il veto sull’operazione. Così quando il procedimento dell’articolo 7 è stato applicato anche all’Ungheria, la Polonia ha posto il veto.

Polonia e Ungheria si ritrovarono alleate alla fine del 2020 contro il meccanismo di condizionamento dello Stato di diritto per l’erogazione dei fondi europei. Solo la mediazione di Angela Merkel riuscì a sbloccare la situazione, rinviando il tutto alla decisione della Corte. Ora l nodo è venuto al pettine e la decisione della Corte di Strasburgo è destinata ad avere conseguenze gravi e dirette nella politica interna dell’Ungheria e della Polonia, due nazioni simbolo dell’Europa unificata , e quindi nelle relazioni dell’Unione europea.

Il 3 aprile in Ungheria si voterà per il rinnovo del Parlamento e Viktor Orbán correrà per il quarto mandato. Secondo i sondaggi il partito conservatore di Orbán sarebbe in vantaggio di almeno due punti sulla coalizione guidata da Péter Marki-Záy. Lo stesso giorno delle elezioni politiche si terrà in Ungheria il referendum sulla legge che proibisce di esporre i minori alla cosiddetta “propaganda” LGBT.

In Polonia la situazione politica è molto delicata per le forze di governo e qualsiasi trattativa sarà complicata. Ancor più complicata e difficile per tutte le parti in causa per quello che sta accadendo in Ucraina. Pensando che Orbán persegue rapporti cordiali con Russia e Cina. Mentre la Polonia ha accolto già 5 mila soldati americani sul suo territorio e si tiene stretta alla Nato.

Tuttavia, non è difficile capire che questa situazione non gioverà al futuro dell’Unione europea che, fra l’altro, non è riuscita mai a governare il tema dell’immigrazione a cui tutti i paesi dell’Est sono particolarmente sensibili.

La Federazione Russa di Putin e l’Europa 

A trenta e più anni dalla fine della Guerra fredda, che non sono stati né trenta anni di pace, la pax americana, né trent’anni di dominio americano, la Federazione Russa sotto la guida di Vladimir Putin tenta di riproporsi non, come pensava il Presidente Obama, come potenza regionale, ma come una potenza imperiale. Del resto la storia insegna che gli imperi crescono e decadono, ma ciò che spesso si dimentica, si reincarnano. Putin pensa di ricostituire l’impero che fu l’Unione Sovietica. La quale, a sua volta, ricostruì un impero sulle ceneri di quello zarista. Curiosamente, però, mentre l’ideologia comunista si pensava come il trionfo mondiale dell’internazionalismo, l’ideologia di Putin rinnega ogni antica idea leniniana di fratellanza fra le nazioni, ma si basa, come giustamente ha scritto Sergio Fabbrini, su un «nazionalismo etnico-religioso» (“Il Sole 24 ore”, 27 febbraio 2022). Una ideologia che non può che confliggere con le nazioni europee che sono state per quarant’anni sotto il dominio sovietico. Per questo Putin si presenta come il protettore delle minoranze russofone presenti in alcune regioni di confine. Putin si comporta, insomma, come il vecchio impero sovietico, che muoveva i carri armati per mantenere al potere i partiti comunisti fratelli nei vari paesi europei liberati dall’Armata rossa e poi assoggettati all’impero sovietico. Cambia solo l’ideologia, ma non si rende conto, l’autocrate di Mosca, che non siamo più nell’equilibrio del terrore segnato dalla cortina di ferro.

Certo l’ideologia kantiana e progressista di una “pace perpetua” e di un mondo segnato dal progresso della democrazia e del benessere, diffusa nelle classi dirigenti occidentali e specialmente in Germania e in Italia, non solo è irrealistica, ma ha prodotto il frutto avvelenato di una “globalizzazione imprevidente” a tutto vantaggio di un altro impero: quello cinese, ma ormai più che comunista anch’esso nazionalista.

L’irenismo delle leadership europee non è stato scosso nemmeno dalle guerre che già dal 1991 hanno riguardato l’Europa e il mondo, a partire dal Medioriente e dall’Africa, prima e dopo l’attentato dell’11 settembre 2001.

L’Unione europea, che pure aveva pensato dopo il 1989 a dotarsi di una autonoma forza di sicurezza comune, si è rimessa sotto l’ala protettiva degli Stati Uniti e della Nato. La Ue ha prodotto norme e regole per estendere le relazioni commerciali e assicurare ed estendere lo stato di diritto. Poi con la moneta comune, l’Euro, ha prodotto un grande trasferimento di sovranità dagli Stati nazionali all’Unione. Senza, però, riuscire a dotarsi di una chiara cornice costituzionale. Poi sono arrivate le crisi e con la crisi finanziaria ed economica si sono alimentate reazioni nazionalistiche e antieuropee.

L’Ue era nata per ridurre i disastri prodotti dal nazionalismo nell’Europa fra le due guerre. Ma dimenticando le lezioni della storia, si è esposta, come scrive sempre Fabbrini, e anche Angelo Panebianco, ai ricatti dei nazionalisti in campi cruciali dell’economia e delle risorse energetiche, oppure subendo giganteschi flussi migratori senza capacità di governarli. La Unione europea, forte del suo benessere e delle sue grandi conquiste in campo civile e sociale, ha costituito comitati su comitati in ogni campo; ha proposto svolte in ogni campo dall’ecologia al clima e alle fonti energetiche rinnovabili, ma non è riuscita a darsi una politica di difesa e di sicurezza comune. La Nato è ancora necessaria, ma l’Unione europea dovrà rafforzare la sua unità per difendere le proprie libertà e la propria sicurezza.

La Cina è vicina: la tattica attendista

La Cina non è uno spettatore irrilevante di ciò che sta accadendo nella crisi ucraina. Oggi il presidente Xi Jinping si mostra amico di Putin in chiave antiamericana, ma non rinuncia alla filosofia cinese che si affida alla circolarità del tempo, ma senza forzare la situazione. Xi Jinping non è solo capo del governo e del partito, è anche comandante in capo delle forze armate. Però gli interessa affrontare i tanti problemi interni e non pregiudicare il funzionamento di quel mercato globale che ha fatto la sua fortuna e quella della Cina. La dichiarazione congiunta fra Cina e Russia risale al 4 febbraio di quest’anno. Si parlava di «cooperazione senza limiti», ma più in termini economici che militari. Certo la Cina si è astenuta in sede ONU sulla mozione che condanna il blitz di Putin, insieme con l’India e i paesi arabi. Poi, sempre la Cina, ha tolto i tetti all’export con la Russia e ha offerto a Putin, che per via delle sanzioni rischia l’esclusione dal sistema dei pagamenti internazionali Swift basato sul dollaro, di entrare nel circuito alternativo cinese Cips. Tutto vero, ma per ora Pechino non condanna né sostiene apertamente la strategia militare russa. Una strategia che rischia di provocare gravi danni all’economia mondiale cui la Cina stessa è legata.

Il presidente cinese, poi, si sta preparando a gestire  il 20° Congresso del partito. Per lui si tratta di un appuntamento importante, non un semplice rito, visto che egli è alla fine del secondo mandato. Dopo i costi enormi dei dazi americani imposti sulle merci cinesi, la Cina non può permettersi di affrontare una crisi sui mercati giapponesi, nord-americani ed europei, fondamentali per la ripresa dell’economia dopo gli effetti negativi della pandemia.

La Cina è vicina a Putin, ma più vicina a sé stessa.

La guerra mediatica e i manifestanti per la pace e contro la guerra

Putin, da uomo dei servizi segreti, all’epoca della fine della Guerra fredda, ha calcolato gli effetti della guerra mediatica, ma non è detto che abbia capito la diversità dei tempi rispetto al periodo della sua gioventù. Oggi che la protesta contro la guerra dilaga non solo nelle piazze europee, Berlino, Roma, Parigi, ma a Mosca come a San Pietroburgo, Putin non può censurare solo le parole dei media, ma anche la rete. Impresa difficile, se non impossibile.

Nelle piazze europee la protesta contro la guerra si unisce alla solidarietà per l’Ucraina e le vittime, ma anche alla condanna per l’aggressione brutale di un paese libero e indipendente. Questo Putin non lo aveva messo in conto, come non aveva messo in conto la resistenza degli ucraini e del capo del governo Zelensky, che non è scappato davanti agli invasori. Così come non aveva messo in conto gli attacchi informatici.

Il Presidente Mattarella incita all’unità dell’Italia con l’Europa e con la Nato

Il Presidente Mattarella è stato molto chiaro, come del resto il Presidente del Consiglio Mario Draghi: dobbiamo stare uniti e fermi nella condanna dell’aggressione all’Ucraina e concordi con le sanzioni decretate dall’Unione. Saranno tempi duri e di sacrifici, ma l’Italia dovrà restare vicina all’Europa e alla Nato.