Notiziario Eu- ISFE n.2/2023

2 febbraio 2023

La difesa dell’Europa che non c’è

L’impotenza militare della Ue non è un fatto nuovo, ma nella situazione in cui oggi ci troviamo è un punto debole anche per arrivare ad una soluzione diplomatica della guerra di occupazione in Ucraina scatenata da Putin. Tutto dipenderà dai calcoli delle grandi potenze, ma non dalla Ue, che possiede armi ed eserciti, ma nazionali e quindi non in grado di esercitare una forza di dissuasione da impressionare Putin.

Eppure gli Stati dell’Unione spendono un sacco di soldi per gli eserciti nazionali. Nel 2021 la spesa militare della Federazione Russa è stata di 65,9 miliardi di dollari, superiore a i 56,6 miliardi della Francia, ai 56 miliardi della Germania, ai 32 miliardi dell’Italia e ai 19 miliardi della Spagna. Il Regno Unito ha speso da solo 88,1 miliardi. Ci vuol poco a capire che la spesa dei quattro grandi paesi della Ue raggiunge i 163,6 miliardi, cioè 2,5 volte di più di quanto spende la Federazione Russa. Tuttavia questa somma così grande non corrisponde ad un sistema di difesa europeo forte ed integrato. Il coordinamento volontario fra i sistemi di difesa dei vari Stati è poca cosa. Serve a parare i tanti tentativi e le tante strutture per assicurare la sicurezza sulla carta, ma non quella reale.

Per ora la Ue ha aiutato l’Ucraina a dotarsi di armi difensive grazie allo European Peace Facility creato nel 2021 con una dote di 5 miliardi di euro già spesi nel 2022. Solo gli USA hanno impegnato più di 27 miliardi di dollari. Senza gli USA e la NATO la Ue spende tanto, ma non può garantire la sicurezza europea.

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Troppe ONG e associazioni senza trasparenza in Europa

Nel Trasparency Register di Bruxelles figurano iscritte ben 3.500 ONG, più altre organizzazioni analoghe, più 967 sindacati ed associazioni professionali, più 602 “gruppi di pressione”. Sono tutti organismi registrati, ma senza obbligo di trasparenza sulle loro entrate e sulle loro spese. Sarebbe il caso di aprire una indagine rigorosa e poi dare una sfoltita per evitare che molte di queste organizzazioni invece di fare il bene del prossimo o quello dell’Unione europea facciano più che altro i loro affari.

Lo scandalo Qatargate dovrebbe spingere in questa direzione. Altrimenti la credibilità delle istituzioni europee subirà un colpo molto grave.

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Primato europeo sui libri e sulla moda

Finalmente una buona notizia: “ Quella del libro, insieme con l’alta moda, è il settore in cui l’Europa è gigante nel mondo”. Lo ha dichiarato Riccardo Franco Levi, presidente dell’AIE, l’Associazione Italiana degli Editori di libri, ma anche presidente della Federation of European Publishers.

In realtà web ed e-commerce e poi i social hanno sconvolto il mercato editoriale ed in particolare l’editoria e le librerie. Pare, sarebbe interessante se fosse vero, che si stia registrando nel mondo una certa “stanchezza digitale”, nonostante che moltissimi interessi spingano verso la digitalizzazione di ogni cosa, persino dei nostri pensieri.

La pubblicazione di e-books in Italia sta calando; le 35.200 novità pubblicate nel 2022 sono il 28,6% in meno rispetto al 2021 e il 27% in meno rispetto al 2019. Gli audiolibri, con una popolazione che sta invecchiando e con la vista calante, sono in netta ascesa: più 4,2% nel 2022 rispetto al 2021. Nel 2022 si sono venduti in Italia 112,6 milioni di copie di libri, con un calo del 2,4% rispetto al 2021.

Oggi la crescita del costo della carta e dell’energia, nonché l’inflazione che colpisce i bilanci familiari, stanno colpendo duramente l’editoria, specialmente i piccoli editori. Siccome il Parlamento italiano sta per discutere su una nuova legge per il libro, speriamo che si trovino soluzioni realistiche e non miracolistiche.

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Il miraggio del debito comune

I ventisette paesi della Ue stanno per discutere del problema, sempre più urgente, del debito comune. Il tema sarà discusso dai capi di Stato e di governo il 9-10 febbraio prossimo. Con i massicci aiuti economici del governo americano al sistema industriale diventerà sempre più urgente accelerare la ripresa economica dell’Europa.

Proprio in questi giorni, per mettere le mani avanti, i ministri delle Finanze di Danimarca, Irlanda, Finlandia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria ed Estonia hanno già manifestato la loro contrarietà. Tuttavia nei grandi paesi europei cresce la consapevolezza di dover dotare l’Europa di una comune politica industriale, in un contesto mondiale di concorrenza con giganti come gli USA e la Cina.

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Covid e ritorno alla normalità

Il governo inglese ha fatto appello ai milioni di lavoratori – sembra 5 milioni – che non sono ritornati a lavoro in presenza per via del Covid. A tutti coloro che sono andati in pensione anticipata per via della pandemia o sono andati in cassa integrazione, l’invito è quello di ripensarci perché il paese ha bisogno di loro.

Bisognerebbe che questo appello fosse fatto proprio dall’intera Europa, anche dalla Ue, perché lo sviluppo dell’economia, nonostante tutte le svolte digitali, ha bisogno di manodopera reale. Si tratta, come si dice, di capitale umano. Parola abusata, ma che vuol dire competenza e abilità professionale.

In testa ad ogni proposito di uscita dalla crisi di questi anni occorre mettere: occupazione, istruzione e impresa.

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Covid: fine dell’emergenza?

Se ne parla da più parti della fine dell’emergenza Covid, nonostante i timori per la vampata della pandemia in Cina. Tuttavia l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha invitato alla prudenza. Il Direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato che “siamo in una situazione migliore rispetto al 2021, quando l’ondata di Omicron era al picco con oltre 70 mila morti a settimana”.

Però dalla Cina non arrivano buone notizie. Come spesso nella storia.

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Crisi demografica in Ue: mal comune non è mezzo gaudio

Che la demografia sia una cosa seria tutti lo dovrebbero aver capito, anche quei demografi che salutavano con gioia il calare della curva demografica in Italia e nel mondo. Pochi figli può andar bene, ma niente figli è peggio. In Cina hanno invertito la rotta e, dopo il figlio unico, adesso pensano ai figli in provetta.

In Europa Eurostat stima che nel 2030 nasceranno 190 mila bambini in meno rispetto al 2020. Sono molto pochi i paesi europei che non sono caduti nella “trappola demografica” causata dal crollo della popolazione giovanile. In quei paesi che hanno fatto politiche di sostegno alle famiglie e alle donne con figli come la Francia, la Svezia, il Portogallo o l’Ungheria, per fare qualche esempio, la situazione demografica sta migliorando, ma come sempre occorrono tempi lunghi.

I paesi messi peggio di tutti sono, guarda caso due paesi ex cattolici, l’Italia e la Spagna, dove i morti superano da tempo i nati. Siamo in pieno inverno demografico e non è un bell’inverno.