Notiziario Eu-ISFE n.13/2023

21 dicembre 2023

L’Unione europea nel giro di pochi anni si è trovata davanti a scelte drammatiche, in un contesto mondiale sempre più conflittuale e con due guerre alle porte di casa: quella in Ucraina e quella in Israele. Eppure, nonostante la evidente difficoltà e i limiti del suo assetto istituzionale, la Ue è riuscita a compiere scelte di notevole peso politico ed economico.

Il Consiglio europeo del 14-15 dicembre è riuscito nell’impresa non scontata di aprire il nuovo allargamento ad Est dell’Unione. Ben sei paesi balcanici occidentali, più Ucraina e Moldavia erano in attesa di una risposta. Alla Georgia, anche lei in attesa, è stata offerta una prospettiva di una futura candidatura.

Nessuno può ignorare che la dimensione geopolitica è diventata sempre più importante e la Commissione ha dato una risposta coraggiosa, ma ormai inevitabile per contenere e scoraggiare le mire espansionistiche di Putin.

Naturalmente le difficoltà dell’allargamento della Ue hanno implicazioni che riguardano anche le situazioni economiche e le caratteristiche politiche dei nuovi paesi che entreranno a far parte della Ue. Del resto accadde così anche quando ex paesi satelliti dell’URSS, ormai crollata insieme con il Muro di Berlino, entrarono dal 2004 nell’Unione creando problemi di non poco conto. Basti pensare al fallimento del Trattato costituzionale oppure alla uscita dall’Inghilterra, cioè alla Brexit.

Anche oggi il passaggio da 27 a 35 o 36 paesi all’Unione creerà sicuramente problemi di governabilità non solo dal punto di vista politico, ma anche dal punto di vista economico-finanziario. Si pensi che nel bilancio della Ue, che dovrà essere discusso a breve, ai nuovi paesi aderenti andrebbero assegnati fino a 250 miliardi di euro l’anno, dati i loro bassi livelli di PIL pro capite.

Ci sono, poi, da mettere in conto i riflessi sociali e politici di una così gigantesca operazione. Ci saranno di sicuro problemi con il fenomeno dell’immigrazione per l’arrivo di molti lavoratori e delle loro famiglie verso i paesi più ricchi dell’Unione. Ci potrebbero essere fenomeni di delocalizzazione delle imprese in cerca di costi del lavoro e di sistemi fiscali più vantaggiosi. Però bisognerà mettere in conto la reazione politica che tutto questo produrrà nell’orientamento di voto dei cittadini nelle prossime elezioni europee previste per la tarda primavera del 2024.

Bisognerà che l’Unione riesca ad elaborare una politica della migrazione sempre più volta a contenere l’immigrazione dall’Oriente e dall’Africa. Impresa non facile, ma possibile, seguendo l’idea non nuova, ma essenziale, di aiutare lo sviluppo dei paesi africani. Ecco perché bisognerà anche rivedere il Patto di Stabilità e la questione del MES.

Per questo insieme di problemi l’idea di gradualità e di allargamento a cerchi concentrici, come i più saggi hanno sempre pensato.

Sono sfide grandi, ma di sfide l’Unione ne ha affrontate sempre. Certo oggi occorrerà un salto di responsabilità e di peso decisionale. Magari per affrontare anche i temi della sicurezza, che non sono più rinviabili.

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Il Patto di Stabilità, siglato nel 1997, contiene le regole che garantiscono la disciplina di bilancio per i paesi Ue che appartengono all’unione economica e monetaria.

Il Patto, farraginoso e difficile da rispettare in tempi normali, fu sospeso nel marzo del 2020 a causa della pandemia. Da gennaio 2024 sarebbe dovuto tornare in vigore con i parametri previsti a Maastricht: rapporto deficit/PIL al 3% e rapporto debito pubblico/PIL sotto il 60%.

La riforma del Patto è stata approvata all’unanimità e questo è stato un grande risultato, specialmente per l’Italia che ha un debito pubblico fra i più alti dei paesi Ue.

In effetti, i paesi che hanno un rapporto debito/PIL superiore al 90% (l’Italia oltre il 140%) dovranno ridurre il debito di 1% all’anno.

Ecco le raccomandazioni previste nel nuovo Patto di Stabilità (“Corriere della Sera”, 21 dicembre 2023):

  • I paesi dovranno concordare con la Commissione piani quadriennali di aggiustamento dei conti pubblici con impegni sull’indicatore della spesa. I piani potranno venire estesi di altri tre anni se a sostegno di investimenti strategici.
  • I paesi con deficit superiore al 3% dovranno comunque garantire anche un aggiustamento di bilancio minimo dello 0,5% annuo.
  • Ai paesi con debito superiore al 60% del PIL e un deficit superiore al 3% del PIL la Commissione fornirà traiettorie tecniche sull’andamento della spesa nel medio periodo, estendibile da 4 a 7 anni.
  • In caso di disavanzo eccessivo ci saranno sanzioni a partire uno 0,02% del PIL.

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Si tratta di un accordo storico su un tema cruciale: il 20 dicembre 2023 la Ue ha dimostrato di esistere e di poter affrontare un tema cruciale e drammatico.

Dopo anni di stallo, accordi fatti e disfatti, polemiche politiche e divisioni, hanno raggiunto un accordo, un Patto per la migrazione e l’asilo, che dovrà essere approvato dalla plenaria del Parlamento e dal Consiglio Ue prima di diventare legge. Tuttavia la Presidente del Parlamento, Roberta Metsola, può giustamente parlare di “enorme successo”, mentre Ursula von der Leyen, la Presidente della Commissione, ha dichiarato che il “patto sulla migrazione garantirà una risposta europea efficace a questa sfida. Significa che saranno gli europei a decidere chi arriva e chi può restare nella Ue, non i trafficanti”. Parole chiare su cui dovrebbero riflettere coloro che, specialmente in Italia, pensano che i confini e le regole siano affari secondari e che bisogna accogliere tutti.

Le ONG come Amnesty International, Oxfam, Caritas hanno criticato il patto, ma se ne dovranno fare una ragione. Ecco i punti salienti:

  • L’accordo riguarda tutte le fasi della gestione dei migranti: dallo screening all’arrivo alle norme per determinare quale Stato membro è responsabile della domanda di asilo, la cooperazione e la solidarietà tra Stati membri e la gestione delle situazioni di crisi.
  • Gli Stati membri per aiutare i paesi con forte pressione migratoria possono scegliere tra ricollocare tra loro i richiedenti asilo (30 mila la soglia minima) o versare contributi (50% in base alla popolazione e 50% in base al PIL – 600 milioni di euro la soglia minima)
  • Per le situazioni di crisi ci sono un meccanismo di solidarietà e misure per quegli Stati membri con un afflusso eccezionale di migranti che satura il regime nazionale di asilo. Lo Stato in crisi presenta una richiesta alla Commissione, che la valuta entro 2 settimane.