Notiziario Eu-ISFE n.1/2024

6 febbraio 2024

Il 28 gennaio 2024 “Le Monde” ha dedicato un bel numero di pagine alle manifestazioni di protesta degli agricoltori in vari paesi europei, spiegandone le cause e i probabili esiti politici nelle elezioni del nuovo Parlamento europeo previste dal 6 al 9 giugno.

La rassegna di queste agitazioni con i trattori e i blocchi stradali riguarda la Francia, la Germania, l’Italia, ma anche l’Austria, la Svezia e via via altri paesi. Si tenga presente che in Francia, Germania, Italia e Spagna nel 2023 la produzione agricola ha raggiunto un valore rispettivamente di 96, 76, 73 e 65 miliardi. Cifre che devono far riflettere sull’importanza economica e strategica del settore nell’insieme dell’economia europea. Specialmente in un periodo come quello che stiamo attraversando caratterizzato dagli effetti sconvolgenti della guerra in Ucraina e nel Medioriente; dalla volatilità dei prezzi e dei costi energetici, dall’aumento dei costi dei concimi e della manodopera, nonché del costo del denaro. A cui si devono aggiungere i costi delle trasformazioni previste dal Green Deal.

La Ue fin dagli esordi della Comunità proprio con la Pac ha riservato al settore agricolo una costante attenzione e molti sussidi. Certamente la transizione verde è necessaria, ma anche molto costosa, specialmente per il settore agricolo. Per questo sono state previste compensazioni. Circa 300 miliardi di euro, più di un terzo del bilancio dell’Unione relativo al 2023-2027, sono stati destinati alla Politica Agricola Comune (Pac) con riguardo alle piccole imprese. È stato previsto anche un fondo per alleviare i costi dell’inflazione e le emergenze naturali.

Indubbiamente si dovranno rivedere i tempi e le modalità dei piani europei. Bene ha fatto la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen a varare un “Dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura”.

Si tenga presente che nel 2023 le vicende internazionali e l’andamento climatico hanno prodotto in tutta l’Unione europea un calo della produzione agricola dell’1%, dell’1,7% per valore aggiunto e dell’1,5% sul fronte occupazionale.

La situazione del settore presenta, quindi, elementi di preoccupazione oggettivi, a cui si aggiungono i problemi delle scelte politiche europee che riguardano specificamente il settore agricolo.

La strategia Farm to Fork, varata dalla Ue nel 2020 nell’ambito del Green Deal per facilitare la transizione verso un sistema alimentare “equo, sano e rispettoso dell’ambiente”, sta incontrando l’opposizione di tanti, medi e piccoli, produttori in tutta Europa. Ridurre l’utilizzo degli agrofarmaci del 50% entro il 2023, dei fertilizzanti del 20%, degli antibiotici in zootecnica del 50%, e, infine,  aumentare la superficie agricola biologica al 25%, quando oggi non supera il 10% a livello europeo, sembra impresa impossibile. E, in effetti, ad oggi i dati non sono incoraggianti e gli obiettivi diventano sempre più difficili da raggiungere. Tuttavia da qui parte la protesta, al di là degli aspetti nazionali specifici.

La politica agricola comunitaria, la Pac, assegna una dote complessiva di 386 miliardi di euro per il settennato 2021-2027 proprio al rispetto degli impegni ambientali previsti nel Farm to Fork. Per l’Italia, ad esempio, si tratta di ben 35 miliardi di euro l’anno. Tanti, ma insufficienti e troppo complicati da ottenere.

Questi sono i motivi di fondo della protesta degli agricoltori nei vari paesi europei. Di sicuro il nuovo Parlamento europeo dovrà prenderne atto e altrettanto di sicuro i partiti che terranno conto della protesta cresceranno a danno di quelli, socialisti, verdi e liberali, che non hanno saputo valutare i costi e i tempi del Green Deal.

I piani, scriveva Carlo Rosselli, criticando i piani quinquennali dell’Unione Sovietica, si fanno per gli uomini e non viceversa. Gli agricoltori, i piccoli ma anche i medi, non sono fatti di società anonime di capitali, ma di uomini. Anzi di lavoratori. Per questo vanno ascoltati, ma anche invitati a evitare forme estreme di protesta che non giovano a risolvere i problemi, né a livello nazionale, né a livello europeo.

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Nel volume che stiamo preparando sul Parlamento europeo uno dei temi trattati anche nell’Appendice dedicata al Convegno di San Miniato è proprio quello dell’identità europea. Un tema, ricordiamolo, che fu presente ai protagonisti della Comunità europea delle origini e sino agli anni del referendum sul progetto di Trattato costituzionale un tema poco considerato dalle forze politiche dominanti nel Parlamento europeo e cioè i socialisti e i popolari. Tanto è vero che non si ebbe nemmeno il coraggio di riferirsi alle basi umanistiche e cristiane della storia europea nel redigere il testo del Trattato costituzionale. Testo che, peraltro, i francesi e altri bloccarono nel 2005.

Ora la questione è stata sollevata sul “Corriere della Sera” (5 febbraio 2024) con un articolo di fondo di Ernesto Galli della Loggia, uno dei pochi intellettuali “non militanti” dell’Italia di oggi. “Potrà mai l’Unione europea – si chiede – esistere come soggetto politico di qualche effettiva consistenza dopo aver deciso di suicidarsi culturalmente, di gettare alle ortiche la propria identità?”.

Una domanda cruciale seguita da un’altra: “Come mai a nessun partito della decina e più che siedono a Bruxelles è mai venuto in mente di occuparsi di questa singolare decisione e dei modi in cui ormai da anni essa viene posta in essere?”. Le risposte di Ernesto Galli della Loggia sono molto interessanti, ma, noi, nel nostro piccolo consigliamo di leggere il volume sul Parlamento europeo che sta per uscire a cura della nostra Istituzione (ISFE) o a leggere i nostri Notiziari.

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Nel dicembre del 2022 scoppiò lo scandalo denominato Qatargate, seguito dagli arresti della vicepresidente del Parlamento Ue Eva Kaili e dell’ex eurodeputato Antonio Panzeri. Oggi Francesco Giorgi, ex assistente di Antonio Panzeri, eurodeputato di Articolo Uno, e gli eurodeputati Andrea Cozzolino e Marc Tarabella sono sempre ai domiciliari. Sono tutti esponenti dell’area socialista e su di loro pende un’inchiesta giudiziaria ancora in corso.

L’inchiesta giudiziaria farà il suo corso e non si tiri in ballo la questione del fatto che in Belgio i Pubblici ministeri dipendono dal potere politico, perché questa è una realtà diffusa in Europa. A noi, come cittadini europei, interessa che il Parlamento europeo, questo o quello che verrà, non affossi lo scandalo e faccia chiarezza. Almeno per quello che sarà possibile.