7 luglio 2025
Una buona notizia: l’ERC, European Research Council, finanzia i progetti dei nuovi ricercatori
Si tratta di ben 721 milioni di euro riservati ai ricercatori senior che hanno presentato progetti di ricerca. Ciascuno dei 281 progetti selezionati riceverà fino a 2,5 milioni di euro per 5 anni. Alcuni di questi ricercatori vincitori hanno deciso di esercitare la loro attività fuori dal paese di formazione, ma sempre in Europa. Così è accaduto a 12 vincitori italiani su 37. Del resto la stessa cosa è accaduta in Germania, dove solo 35 su 45 vincitori hanno deciso di restare nel loro paese per sviluppare i loro progetti di ricerca. Questo potrebbe essere un bene per tutti purché si resti nei paesi della Ue.
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I tagli alle emissioni di CO2
Socialisti e Verdi rimangono fermi al programma del Green Deal, e cioè a un taglio delle emissioni di gas serra del 90% entro il 2040. Un programma che la maggioranza dei paesi Ue, passati per volere dei cittadini al centro-destra, non ritiene più realistico e responsabile, almeno in parte, della crisi economica e in particolare di quella dell’industria dell’automobile. Le elezioni presidenziali in Polonia con la vittoria del partito Diritto e Giustizia hanno reso ancora più forte il fronte dei paesi che vogliono la revisione della legge europea sul clima.
I paesi della Ue passati al centro-destra sono sempre più freddi, mi si passi l’ossimoro, nei confronti delle misure del Green Deal e del contrasto al riscaldamento climatico. Secondo molti di questi paesi bisogna che questi piani facciano i conti con la realtà del mondo e con la sostenibilità dell’economia europea.
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Il summit dell’Alleanza Atlantica e l’Europa
Sulle questioni internazionali i commenti giornalistici, specialmente in Italia, non sono stati all’altezza delle questioni che si sono trattate nell’ultimo vertice NATO. In primis i 32 governi europei si sono impegnati, non è la prima volta, ad affrontare il tema spinosa della sicurezza impegnandosi ad investire 1.750 miliardi di dollari in dieci anni. Si tratterà di un intervento su quattro settori di investimento: 1) la difesa aerea; 2) rafforzamento e coordinamento dei “battaglioni di manovra”; 3) l’aumento delle armi a lunga gittata (missilistica); 4) la logistica, che riguarda anche le infrastrutture civili.
Nel 2024 gli Stati Uniti, oggi sempre più attenti al confronto con la Cina nel Pacifico, hanno contribuito con 900 miliardi di dollari su un totale di 1.360. Molti di questi costi riguardano proprio la difesa aerea.
Nel 2024 gli Stati europei aderenti alla Ue hanno destinato per la difesa 326 miliardi di euro, una cifra pari all’1,97 del PIL. Così tutti dovranno raggiungere complessivamente la quota di 600 miliardi in dieci anni. L’Italia dovrebbe passare da 46 miliardi ad 80 miliardi sempre in dieci anni. Tutto, però, sarà correlato all’andamento del PIL.
Naturalmente i paesi europei del Baltico e dell’Est Europa sentono più forte “il pericolo russo”. La Spagna di meno.
Infine non ci potrà essere politica estera dell’Unione europea senza difesa adeguata. Peccato che alcuni non lo hanno capito.
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La rivoluzione digitale e l’Europa
Si parlava sino ad ora di divario digitale fra giovani e genitori o meglio ancora nonni, ma oggi l’intelligenza artificiale rischia di creare divari assai più profondi, perché il sistema economico pre-AI non solo genera divari sempre più grandi fra le imprese economiche, ma riuscirà a remunerare adeguatamente le attività e le competenze che fino a ieri costituivano la base del sistema industriale.
Il sistema industriale di fabbrica era riuscito ad integrare masse vastissime di lavoratori anche se privi di formazione tecnica, semplificando le attività complesse con le catene di montaggio e le isole produttive. Il lavoratore svolgeva ruoli standardizzati e anche negli apparati pubblici l’organizzazione era standardizzata. Le organizzazioni anche sindacali garantivano l’integrazione sociale. L’intelligenza artificiale se applicata ai processi produttivi o agli apparati burocratici può creare un nuovo ordine, ma non l’integrazione automatica né il coordinamento dei processi. Da qui la difficoltà dell’AI, che non democratizza né integra nel suo sistema i nuovi lavoratori.
Insomma questa nuova rivoluzione tecnologica non ci regala automaticamente progresso economico e inclusione. Del resto, però, ogni rivoluzione tecnologica ha incontrato queste difficoltà, ma forse mai così estese e profonde non solo per la potenza dell’AI, ma anche per la velocità della sua applicazione.
Forse le istituzioni europee dovrebbero favorire processi educativi di vaste dimensioni proprio per affrontare queste difficoltà. Erasmus, ad esempio, potrebbe includere dei corsi di preparazione all’uso dell’AI obbligatori per tutti gli studenti europei, che sono milioni, e che saranno i primi ad affrontare questa straordinaria sfida tecnologica.














